Siria, come siamo arrivati alla caduta di Assad e cosa comporta? (Approfondimento)
Un conflitto lungo, complesso e dalle radici profonde: la Siria rappresenta oggi un terreno di frattura geopolitica e sociale estremamente importante per gli equilibri nel Mediterraneo e quindi per noi Italiani.
In questo articolo ripercorriamo i principali eventi storici che hanno segnato il territorio negli ultimi cento anni così da capire come si sia arrivati alla situazione attuale, per poi analizzare come si è arrivati all’attuale crisi con la caduta del regime di Bashar al-Assad e questo cosa comporterà a livello geopolitico internazionale.
Il contesto storico del territorio siriano
La Siria, situata in una posizione strategica tra Asia, Europa e Africa, ha visto la sua storia moderna intrecciarsi con le vicende dell’Impero Ottomano, delle potenze coloniali europee e delle dinamiche geopolitiche globali.
Il crollo dell’Impero Ottomano del 1918
Dopo il crollo dell’Impero Ottomano, che è avvenuto solo nel 1918, il territorio siriano fu affidato alla Francia come mandato della Società delle Nazioni.
Questo periodo fu segnato da una forte opposizione popolare contro la dominazione straniera, culminata in rivolte nazionaliste come quella del 1925-1927.
L’indipendenza Siriana dalla Francia del 1946
Solo nel 1946 la Siria ottenne l’indipendenza, ma i primi anni di vita come Stato sovrano furono caratterizzati da instabilità politica, colpi di stato e numerose tensioni interne.
Negli anni ’60, l’ascesa del partito Baath segnò un momento di svolta, con l’instaurazione di un regime autoritario che puntava sul socialismo arabo e sul controllo centralizzato.
La dittatura del 1970
Nel 1970, Hafez al-Assad prese il potere, padre di Bashar al-Assad, consolidando una dittatura che avrebbe dominato il paese per decenni, grazie a un forte controllo militare e all’appoggio della minoranza alawita, alla quale apparteneva.
Sotto la guida di Hafez, la Siria si posizionò come un attore importante nella politica mediorientale, mantenendo un equilibrio strategico tra le superpotenze e sostenendo movimenti alleati nella regione.
In questi anni le tensioni interne, la repressione delle opposizioni e il mancato sviluppo economico posero le basi per future fratture, ma in generale la dominazione di al-Assad pose sostanzialmente fine ai colpi di stato tramite la repressione.
Hafez al-Assad rimase al potere fino alla sua morte nel 2000, quando poi gli succedette suo figlio Bashar al-Assad.
La storia della Siria sotto Bashar al-Assad dal 2000 in poi
Alla morte di Hafez al-Assad nel giugno 2000, la Siria si trovò di fronte a una transizione di potere delicata. Bashar al-Assad, il figlio minore e un medico oftalmologo formatosi a Londra, fu designato come successore, nonostante non fosse stato inizialmente preparato per un ruolo politico.
La scelta ricadde su di lui dopo la morte del fratello maggiore Basil, il candidato originario, in un incidente d’auto nel 1994.
Il passaggio di poteri fu orchestrato rapidamente. Il parlamento siriano modificò la costituzione per abbassare l’età minima richiesta per la presidenza, permettendo a Bashar, allora trentacinquenne, di candidarsi. Subito dopo, fu confermato presidente tramite un referendum che, come da tradizione del regime, registrò un risultato plebiscitario.
Inizialmente, Bashar al-Assad venne accolto con cauto ottimismo sia in patria che all’estero. Si sperava che il suo stile di leadership più giovane e “moderno” potesse inaugurare una fase di apertura politica ed economica.
Questo periodo, noto come la “Primavera di Damasco”, vide un breve allentamento della repressione, con la creazione di forum intellettuali e richieste di riforme democratiche.
Purtroppo, queste speranze si spensero rapidamente. Nel 2001, il regime tornò a reprimere ogni opposizione, arrestando attivisti e soffocando il dibattito pubblico.
Bashar consolidò il controllo del partito Baath, mantenendo le reti clientelari e autoritarie ereditate dal padre.
Sotto il suo governo, la Siria affrontò crescenti problemi economici, corruzione endemica e disuguaglianze sociali, che contribuirono ad alimentare il malcontento popolare. La gestione autoritaria e la concentrazione del potere nelle mani della famiglia Assad resero il regime sempre più isolato e vulnerabile.
Questi fattori, uniti alla repressione feroce delle proteste del 2011, gettarono le basi per l’esplosione della guerra civile.
La Primavera Araba e gli eventi che hanno portato alla guerra civile
Nel 2011, la Siria fu travolta dall’onda delle Primavere Arabe, un’ondata di proteste popolari che chiedevano riforme democratiche e diritti civili in diversi paesi del mondo arabo. Le manifestazioni pacifiche in Siria iniziarono a Daraa, con la popolazione che chiedeva maggiore libertà politica e la fine della corruzione del regime di Bashar al-Assad, figlio di Hafez e al potere dal 2000.
La risposta del governo fu brutale.
La repressione delle proteste, con arresti di massa, torture e uccisioni, alimentò un’escalation di violenza. Entro pochi mesi, la crisi si trasformò in una vera e propria guerra civile, con l’emergere di gruppi ribelli armati e la frammentazione del territorio siriano in aree controllate da forze opposte.
Il conflitto attirò rapidamente l’interesse delle potenze regionali e internazionali.
La posizione delle superpotenze internazionali in Siria
Da un lato, Russia e Iran sostennero il regime di Assad, fornendo armi, risorse economiche e supporto militare diretto.
Dall’altro, gli Stati Uniti, la Turchia e alcune monarchie del Golfo appoggiarono alcune fazioni ribelli. Questo trasformò la Siria in un campo di battaglia per procura, aggravando le divisioni interne e complicando ogni tentativo di risoluzione pacifica.
Allo stesso tempo, gruppi estremisti come lo Stato Islamico (ISIS) sfruttarono il vuoto di potere, conquistando ampie aree del paese e seminando il terrore con violenze sistematiche e atrocità. Il popolo siriano, intrappolato tra le diverse fazioni, subì devastanti conseguenze, con milioni di sfollati e rifugiati in tutto il mondo.
La situazione attuale e la caduta del regime di Bashar al-Assad
Verso la fine del 2024, dopo oltre un decennio di guerra civile, il regime di Bashar al-Assad ha ceduto sotto il peso di una combinazione di pressioni interne ed esterne.
Gli anni di conflitto avevano già devastato il paese, con l’economia in rovina, infrastrutture distrutte e una popolazione stremata. La caduta del regime, tuttavia, non è stata improvvisa, ma il risultato di un lungo processo di erosione del potere centrale.
Diversi fattori hanno contribuito al collasso:
- Il deterioramento del supporto internazionale:
Sebbene la Russia e l’Iran abbiano sostenuto Assad per anni, le priorità di Mosca si sono spostate verso la guerra in Ucraina, riducendo l’impegno diretto in Siria. Anche l’Iran, stretto tra crisi interne e sanzioni internazionali, ha limitato il suo appoggio economico e militare. - Il malcontento interno:
Dopo anni di guerra e repressione, anche tra i sostenitori tradizionali del regime si è diffuso il malessere. Proteste locali e defezioni nelle forze armate hanno indebolito il controllo del governo, mentre le aree sotto il controllo di Damasco si sono impoverite sempre di più. - Le rivalità regionali:
La Turchia ha sfruttato la situazione per rafforzare la propria influenza nel nord del paese, sostenendo fazioni ribelli e gruppi armati locali, che alla fine hanno avuto un ruolo decisivo nella spinta finale contro Assad.
Con la caduta del regime, si apre una nuova fase di incertezza per la Siria. Le diverse fazioni sul terreno, tra cui ribelli, curdi e gruppi islamisti, rimangono profondamente divise, rendendo difficile immaginare una transizione pacifica o una ricostruzione rapida.
I nuovi equilibri geopolitici e la posizione della Turchia nel Mediterraneo
Con la caduta del regime di Bashar al-Assad, la Turchia emerge come uno degli attori più influenti nella nuova configurazione geopolitica del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente. Ankara ha giocato un ruolo centrale nel conflitto siriano, sostenendo gruppi ribelli contro Assad, promuovendo le proprie operazioni militari lungo il confine settentrionale della Siria e gestendo direttamente diverse aree controllate dalle sue forze o da milizie alleate.
Il ruolo della Turchia nella crisi siriana
- Controllo territoriale: La Turchia ha consolidato il suo controllo su una fascia di territorio nel nord della Siria, ufficialmente giustificato come misura di sicurezza per respingere le forze curde del YPG (considerate affiliate al PKK, nemico storico di Ankara). Queste aree, tra cui Afrin e Idlib, sono ora sotto l’influenza turca, con una governance locale sostenuta direttamente da Ankara.
- Gestione della crisi migratoria: La Turchia ospita circa 3,6 milioni di rifugiati siriani, il più grande numero al mondo, usando la questione migratoria come leva diplomatica nei confronti dell’Unione Europea per ottenere fondi e concessioni politiche.
- Mediazione regionale: Con la caduta di Assad, Ankara sta cercando di posizionarsi come un mediatore tra le varie fazioni siriane, mantenendo relazioni sia con gruppi ribelli sia con attori internazionali come la Russia e l’Iran.
La Turchia e il controllo del Mediterraneo
La posizione della Turchia nel Mediterraneo orientale si è fortemente rafforzata non solo grazie al conflitto siriano, ma anche attraverso una politica estera assertiva:
- Espansione della zona di influenza marittima:
Attraverso accordi come quello con il governo libico di Tripoli nel 2019, Ankara ha ampliato la sua zona economica esclusiva nel Mediterraneo, entrando in competizione con Grecia, Cipro e altri attori. - Strategia energetica:
La Turchia ha intensificato le esplorazioni di gas naturale nelle acque contese del Mediterraneo orientale, alimentando tensioni con l’Unione Europea e altri stati rivieraschi. - Proiezione militare:
La presenza militare turca è cresciuta, con basi e operazioni che rafforzano il controllo sulla regione, rendendo Ankara un attore centrale nella sicurezza del Mediterraneo orientale.
Qual è la prospettiva futura della Turchia?
Con un ruolo dominante in Siria e una presenza sempre più forte nel Mediterraneo, la Turchia sta ridefinendo il suo status geopolitico. Ma questo predominio potrebbe incontrare ostacoli, tra cui:
- La competizione con la Russia, che vede ridimensionata la sua influenza in Siria.
- Le tensioni con l’Unione Europea, soprattutto su temi come i diritti umani e la questione migratoria.
- Le divisioni interne alla Siria, che potrebbero limitare il controllo turco sulle aree settentrionali a lungo termine.
Quali sono le implicazioni per la guerra Israelo-Palestinese?
La nuova posizione predominante della Turchia, combinata con la caduta del regime di Bashar al-Assad, ha ripercussioni significative anche sulla guerra israelo-palestinese. Sebbene la Siria abbia tradizionalmente svolto un ruolo di sostegno alle fazioni palestinesi, il vuoto lasciato dal regime di Assad ridisegna il panorama strategico della regione.
La Turchia si sta profilando come un attore sempre più rilevante, anche in questo conflitto, per diverse ragioni.
Il sostegno turco ai palestinesi
Ankara ha assunto un atteggiamento apertamente filopalestinese negli ultimi anni:
- Supporto politico e retorico:
Il presidente Recep Tayyip Erdoğan si è posizionato come un difensore della causa palestinese, criticando apertamente Israele per le sue azioni nei Territori Occupati e appoggiando il riconoscimento di Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese. - Sostegno economico:
La Turchia fornisce aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, gestiti in parte attraverso organizzazioni affiliate, per sostenere la popolazione civile.
L’indebolimento della Siria come alleato Palestinese
La caduta di Assad priva i palestinesi di un alleato storico nella regione. Damasco era un punto di riferimento per gruppi come Hamas e la Jihad Islamica Palestinese, che trovavano in Siria un rifugio sicuro e un canale per ricevere supporto logistico e militare dall’Iran.
Con il regime in crisi e il territorio siriano frammentato, queste organizzazioni devono ora riorganizzare le loro reti.
Il nuovo equilibrio regionale vedrà la Turchia protagonista
La Turchia potrebbe colmare, almeno in parte, il vuoto lasciato dalla Siria, ma con un approccio diverso:
- Mediazione e influenza diplomatica:
Ankara potrebbe tentare di usare la sua influenza per proporsi come mediatore tra palestinesi e israeliani, pur mantenendo un profilo apertamente critico nei confronti di Israele. - Conflitti di interesse con altri attori:
La Turchia dovrà bilanciare il suo ruolo filopalestinese con le relazioni che mantiene con Israele, soprattutto in ambito economico ed energetico. Inoltre, il crescente ruolo turco potrebbe entrare in competizione con quello dell’Iran, tradizionale sostenitore delle fazioni armate palestinesi.
Quali saranno gli impatti sulla guerra in corso?
In un momento di forte escalation del conflitto israelo-palestinese, il rafforzamento della posizione della Turchia potrebbe:
- Esacerbare le tensioni regionali:
Il sostegno di Ankara ai palestinesi potrebbe spingere Israele a rispondere con maggior forza, in un contesto già altamente polarizzato. - Offrire un canale alternativo di supporto ai palestinesi:
Questo potrebbe aumentare la resistenza delle fazioni palestinesi, ma al prezzo di ulteriori tensioni con Israele e gli Stati Uniti. - Rimescolare le alleanze regionali:
L’aumento dell’influenza turca potrebbe mettere in difficoltà altri attori arabi, come l’Arabia Saudita e l’Egitto, che hanno adottato posizioni più concilianti verso Israele.
Quali saranno le implicazioni per la guerra in Ucraina?
La caduta del regime di Bashar al-Assad e il rafforzamento della Turchia nel Mediterraneo orientale hanno riflessi significativi anche sulla guerra in Ucraina, poiché influenzano il ruolo della Russia e la sua capacità di proiettare potere in più scenari contemporaneamente.
L’indebolimento strategico della Russia
Mosca, principale alleato di Assad, ha investito risorse significative in Siria dal 2015 per sostenere il regime.
La caduta di Assad rappresenta:
- Una sconfitta geopolitica per la Russia:
La perdita di un alleato chiave in Medio Oriente riduce la capacità di Mosca di influenzare la regione e di mantenere basi strategiche, come quella navale a Tartus, essenziale per il controllo del Mediterraneo orientale. - Un’erosione di risorse:
La Russia ha già dirottato molte delle sue risorse economiche e militari verso la guerra in Ucraina, e il fallimento siriano indebolisce ulteriormente la sua immagine come alleato affidabile.
Il ruolo della Turchia nella crisi ucraina
La Turchia, già un attore importante nel conflitto ucraino, vede rafforzata la sua posizione. Ankara ha mantenuto un delicato equilibrio tra Kiev e Mosca:
- Sostegno militare a Kiev:
La Turchia ha fornito i droni Bayraktar TB2, che si sono dimostrati cruciali per l’esercito ucraino nella prima fase del conflitto. - Relazioni economiche con Mosca:
Nonostante il sostegno a Kiev, la Turchia continua a collaborare con la Russia, soprattutto per quanto riguarda il gas naturale e il commercio.
Con il rafforzamento della sua influenza in Siria e nel Mediterraneo, Ankara potrebbe diventare ancora più rilevante nel contesto ucraino, aumentando la sua capacità di mediazione o il suo peso politico nei negoziati internazionali.
La pressione sulla Russia
La caduta del regime di Assad complica ulteriormente la posizione della Russia:
- Distrazioni strategiche:
Mosca, già concentrata sulla guerra in Ucraina, deve ora affrontare il ridimensionamento della sua influenza in Medio Oriente, un colpo per la sua proiezione globale. - Implicazioni economiche:
La perdita della Siria come piattaforma geopolitica potrebbe rendere la Russia più vulnerabile alle sanzioni internazionali e agli isolamenti economici legati alla guerra in Ucraina.
Quali saranno i possibili sviluppi?
- Conflitto più lungo in Ucraina:
Se la Russia si ritira in parte dal Medio Oriente, potrebbe concentrare più risorse sulla guerra in Ucraina, prolungando il conflitto. - Maggiore ruolo turco:
Con un’influenza più forte in Siria, la Turchia potrebbe cercare di bilanciare la sua politica tra Russia e Ucraina, acquisendo ancora più peso negli scenari globali. - Riallineamenti regionali:
Il Medio Oriente, meno sotto l’influenza russa, potrebbe spingere altri attori a rivedere le proprie strategie, influendo indirettamente sul conflitto ucraino.
Implicazioni per l’Unione Europea e l’Italia: rischio di escalation globale
La caduta del regime siriano, il rafforzamento della Turchia e il protrarsi della guerra in Ucraina creano uno scenario complesso e potenzialmente instabile che potrebbe avere profonde implicazioni per l’Unione Europea (UE) e l’Italia.
Cosa comporta questa crisi in Siria per l’UE?
- Nuove crisi migratorie:
La destabilizzazione della Siria e la frammentazione del territorio potrebbero generare nuove ondate di rifugiati. L’UE, già sotto pressione per gestire le crisi migratorie passate, dovrà affrontare ulteriori sfide politiche e sociali, con il rischio di nuovi attriti tra i Paesi membri sulla redistribuzione dei migranti. - Maggiore dipendenza dalla Turchia:
Con Ankara che assume un ruolo dominante nel Mediterraneo e nei flussi migratori, l’UE si troverà in una posizione di maggiore vulnerabilità nei confronti della Turchia, che potrebbe sfruttare la situazione per ottenere concessioni economiche e politiche. - Rischio di destabilizzazione energetica:
La competizione per il controllo delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale potrebbe esacerbare le tensioni tra la Turchia e altri Paesi europei, come Grecia e Cipro, richiedendo un intervento diplomatico più incisivo da parte dell’UE.
Quali saranno le implicazioni per l’Italia?
L’Italia, per la sua posizione geografica e il suo ruolo nel Mediterraneo, sarà particolarmente esposta:
- Flussi migratori:
La rotta mediterranea centrale potrebbe diventare ancora più attiva, ponendo pressioni su Lampedusa e altri punti di arrivo italiani. - Competizione energetica:
Con la Turchia che cerca di dominare le rotte energetiche nel Mediterraneo, l’Italia potrebbe dover affrontare difficoltà nel mantenere i propri interessi strategici nel settore del gas naturale. - Ruolo diplomatico:
L’Italia potrebbe trovarsi a dover mediare tra gli interessi dell’UE, della Turchia e dei Paesi del Nord Africa, rafforzando la propria politica estera nella regione.
C’è un ulteriore rischio di escalation globale a Guerra Mondiale?
La combinazione di crisi irrisolte e nuovi equilibri geopolitici alimenta timori su un possibile aumento delle tensioni globali:
- Conflitto per procura:
Le aree come la Siria e l’Ucraina restano teatri di confronto tra le grandi potenze, rischiando di espandersi ad altri scenari. - Polarizzazione globale:
L’indebolimento della Russia in Medio Oriente potrebbe spingere Mosca a cercare nuove alleanze e a intensificare il confronto con l’Occidente. - Crescita delle tensioni tra NATO e Turchia:
La posizione sempre più autonoma e assertiva della Turchia potrebbe mettere a rischio la coesione all’interno della NATO, aumentando le possibilità di scontri indiretti con la Russia.
Insomma, dobbiamo preoccuparci?
Anche se il rischio concreto di una guerra mondiale rimane discretamente basso, l’instabilità crescente in diverse regioni e la mancanza di soluzioni diplomatiche robuste aumentano il pericolo di conflitti prolungati e regionali, che potrebbero avere impatti globali indiretti.
L’Unione Europea e l’Italia dovranno rafforzare la loro posizione diplomatica e lavorare per una gestione condivisa delle crisi, promuovendo dialoghi tra le parti coinvolte per evitare un’escalation incontrollata.