Dignità Autonome di Prostituzione: la formula anticrisi che fa a pezzi il teatro [Recensione]
Recensione dello spettacolo Dignità Autonome di Prostituzione in scena al teatro Bellini, regia di Luciano Melchionna
Chi si reca a teatro per assistere a Dignità Autonome di Prostituzione sa già che andrà incontro a qualcosa di non convenzionale, di eccezionale, di non comune, e ci va con lo spirito di chi si aspetta di tutto. E, invece, questo spettacolo va oltre ogni ipotesi e previsione, e quando si torna a casa ci si ritrova ancora a pensare e a riflettere su tutto ciò che ha appena visto.
E si arriva a questa conclusione: lo spettacolo Dignità Autonome di Prostituzione non si può inserire in nessuna categoria comunemente riconosciuta ed è, senza alcun dubbio, la novità teatrale del decennio, ma anche del ventennio, al punto da segnare il punto di partenza di un nuovo modo di fare e concepire l’arte del teatro.
Sono cinque anni che questo spettacolo fa il giro dei teatri d’Italia, esibendosi di recente anche all’estero (in Spagna), e la cosa sorprendente è che non è un musical di Broadway, e neanche lo show dell’attore più in vista del momento. E’ teatro allo stato puro, che allontanandosi e scardinando le convenzioni classiche del teatro così come lo conosciamo, paradossalmente ritorna alle sue origini, e piace perché il teatro per sua natura piace alle persone, tanto che un tempo era considerato un bisogno quasi primario dell’uomo.
Il teatro in cui si tiene lo spettacolo DAdP diventa un vero e proprio bordello, con tanto di luci rosse all’ingresso, e nel foyer si comincia già ad assaporare l’atmosfera e la dimensione stravagante che accompagnerà lo spettatore/cliente per tutta la durata della rappresentazione. Le maîtresses della casa, le tenutarie degli altri attori/prostitute, cominciano ad esibirsi, ad intrattenere il pubblico che impara presto a stare al gioco e a “recitare” la parte del cliente in cerca del suo “piacere teatrale”.
Raggiunto un elevato numero di persone si entra nella sala/casa chiusa, allestita come se fosse un’arena (le poltroncine sono state completamente smontate dal pavimento e lasciate ad “arredare” la platea in modo disordinato) e ci si accorge molto presto che tutti i palchetti del teatro sono “costellati” di attori che stanno ultimando la loro preparazione. C’è chi si trucca, chi si accinge a vestirsi, chi si pettina, chi ancora prova la sua parte.
Dopo qualche minuto la sala si riempie, e lo spettacolo può avere inizio. Quattro maîtresses sono sul palco e presentano al pubblico le “prostitute” della serata, attori ma anche cantanti, mimi, giocolieri, ballerini, performer, dei quali si potrà acquistare la “prestazione”. Tutto è sapientemente gestito e coordinato dal “papi” Luciano Melchionna, l’eclettico e geniale regista dello spettacolo e autore di alcuni dei testi rappresentati. Tra brevi show, intermezzi comici, pezzi ballati e musicati che travolgono la sala al punto da far alzare tutti in piedi per ballare, si dà il via alle trattative. Ogni spettatore, o gruppo di spettatori, potrà scegliere l’attore da cui ricevere la sua “pillola di piacere”, ovviamente contrattando con le tenutarie e pagando in dollarini (la valuta locale ritirata al botteghino).
Ogni attore porterà i suoi spettatori/clienti in un luogo deputato, alcove segrete nascoste negli infiniti cunicoli del teatro, rendendo lo spettacolo anche un percorso itinerante che il pubblico compie con piacere e curiosità. In un camerino spoglio ed angusto, in una sala macchine, in un guardaroba, in un ufficio nel foyer, persino nelle toilettes o in un’auto parcheggiata, l’attore/prostituta di turno si esibirà in monologhi di 15 minuti, testi inediti o già noti, instaurando con il proprio piccolo pubblico un rapporto intimo, recuperando il senso profondo del teatro: un incontro tra uomini, uno scambio di emozioni, la trasmissione di sensazioni.
Obiettivo delle “pillole di piacere” è quello di far riflettere e divertire e di ristabilire
“uno stupore nuovamente sollecitato da un teatro che non è auto-celebrativo, ermetico o fine a se stesso ma prima di tutto magia e sogno”
Dopo aver assaporato le proprie “pillole” di piacere teatrali tutti gli spettatori si ritrovano in sala per il gran finale dove attori e spettatori, ormai entrati in confidenza, si mescolano e si confondono, per poi assistere ancora ad esibizioni musicali e recitate dei 20 attori della compagnia che si concludono con un coinvolgente “stacchetto” musicale sulle note di New York New York al quale partecipano, ebbri d’entusiasmo, anche gli spettatori.
Ma DAdP è anche provocazione sociale anticrisi, come viene spiegato in un prologo cantato e ritmato dagli stessi attori. In un’epoca in cui si percepisce il valore delle cose solo se esse hanno un prezzo, anche l’arte e la cultura possono adattarsi a questo regime per guadagnare, ma soprattutto per essere rivalorizzate dalle persone.
Qui gli attori vendono il proprio talento ed il proprio mestiere come tutti fanno al mondo, ma mantenendo un’onestà e una “dignità di prostituzione” perché è diritto di tutti, anche degli artisti, guadagnare per ciò che si sa fare. Moralismi a parte, il pubblico ci sta, e paga perché apprezza il valore di ciò che gli si sta offrendo, come fa con il pane. E vien voglia di tornarci a vedere lo spettacolo, per tutte le sere successive, perché si ha la certezza che si verrà soddisfatti da altri “piaceri” teatrali, tutti diversi da quelli dei giorni precedenti.
La cultura e l’arte hanno un prezzo, è un concetto che deve entrare bene in testa a tutti. Perché è dalla cultura e dall’arte che si può ripartire, così come è dall’angoscia e dalla crisi economica, quanto quella esistenziale, che si riaccende la creatività e l’inventiva, le soluzioni per combatterla ed uscirne, senza mai rassegnarsi. Luciano Melchionna docet.